Descrizione
Da quando ne siamo scesi e da bipedi lentamente invaso i continenti, abbiamo dominato gli alberi con il fuoco, il taglio, la coltivazione. Conquistato il pianeta, una sola cosa ci è sfuggita: il dominio del tempo. La nostra vita animale ha un limite che si misura in anni e, generazione dopo generazione, non manteniamo una identità biologica: tutti siamo diversi gli uni dagli altri per il rimescolamento cromosomico che accompagna la riproduzione. Al contrario, per gli alberi il tempo non è un limite e va oltre vite individuali che pure possono durare molto più a lungo di quella di un qualsiasi essere animale. Conosciamo alberi di migliaia di anni e, ognuno di essi (indipendentemente dall’età) possiede tessuti in perenne condizione embrionale, pronti a dare origine a tutti gli organi necessari, moltiplicando teoricamente in eterno l’individuo da cui proviene.
Per questo agli alberi – incapaci come siamo di difendere e valorizzare in collaborazione con essi il difficile presente dell’Antropocene – affidiamo il passato e il futuro. Un albero può essere nato molto prima di noi e potrà sopravviverci a lungo e così piantiamo alberi quando nasce un figlio, quando inizia un secolo, come fece il nonno di Mario Rigoni Stern, e celebriamo la vita che continua. Pensiamo a chi verrà dopo seguendo gli insegnamenti del vecchio del Talmud che pianta un carrubo perché i figli e i nipoti, come a lui è accaduto per la generosità dei suoi antenati, ne possano raccogliere i frutti o quelli della ragione illuminista che, con parole di J. J. Rousseau, invita a “piantare un albero e se non riesci a immaginare chi un giorno godrà della sua ombra ricordati che i tuoi antenati/ hanno piantato per te senza conoscerti”. Un vecchio slogan ambientalista invitava a piantare querce e così investire nel millennio. Chiarissimo è l’insegnamento di Cicerone (“De Senectute”) che ricorda quando Catone raccontava del “contadino della Sabina … che per quanto vecchio sia, se gli viene chiesto per chi pianta, non esita a rispondere: per gli dei immortali, i quali vollero che non solo ricevessi tali doni dai miei antenati, ma li trasmettessi anche ai posteri”.
(Giuseppe Barbera)